Venezia cinquecento Studi di storia dell'arte e della cultura

III-1993 n. 5

BULZONI EDITORE 

HARULA ECONOMOPOULOS

Achille Vitali,

la moda a Venezia attraverso i secoli. Lessico ragionato, Venezia, Filippi Editore, 1992.

Anticonvenzionale per programma nella struttura come nei contenuti il libro di Achille Vitali La moda a Venezia attraverso i secoli, pur presentan dosi sostanzialmente come un lessico, si pone l'obiettivo di "ragionare" su ogni materia in modo libero e critico, spaziando orizzontalmente tra un argomento e l'altro senza dover per questo sacrificare l'approfondimento di ogni singola voce.

Al lettore viene fornito uno strumento che soddisfa la curiosità del neofita della storia del costume così come l'esigenza di sistematicità deglì addetti ai lavori (in particolare gli storici dell'arte), ai quali più che mai occorre un'opera che faccia il punto delle ricerche nel settore del vestiario veneziano dal Me­dioevo fin quasi ai giorni nostri.

Come ci informa lo stesso autore, il libro potrebbe essere paragonato ad "una piccola enciclopedia avente per oggetto appunto il modo dl vestire, di calzare, di adornarsi dei veneziani di ogni tempo" con la prerogativa di riportare i vocaboli nella forma originale veneziana e di motivarne la denominazione: un semplice lessico assolve così anche una precisa funzione etimologica.

Pur confrontando di continuo le principali fonti della storiografia veneziana, come il Sanudo o il San­sovino, con opere ottocentesche di stampo lessico-grafico, come il Mutinelli o il Boerio, l'autore non ri­nuncia a verificare personalmente l'attendibilità delle notizie riportate dai suoi illustri predecessori, pun­tualizzando termini e specificità. Ne risulta un'opera che al rigore dei riferimenti documentari e archivi­stici unisce un vasto repertorio aneddotico tale da suscitare l'interesse anche dei meno esperti, grazie ad un insieme di circa settecento voci. In questo modo il risultato finale oltrepassa i limiti definiti dalla ma­teria del costume, inteso come esclusivo studio dell'abbigliamento, e finisce per abbracciare i più di­sparati campi della cultura.

Il Vitali attraverso un lessico sui generis come questo si propone di studiare non solo l'origine delle parole, ma anche la storia del capi dl vestiario nei secoli con le relative trasformazioni, spesso non ac­compagnate da un adeguato mutare di terminologia. Acquistano insomma importanza tutti quei fattori che concorrono a restituire un quadro storico del contesto culturale nel quale si affermano determinate manifestazioni dell'abbigliamento. L'attuale tendenza degli storici del costume, che predilige l'aspetto umanistico e interdisciplinare della materia, trova in questa sede piena realizzazione, anche nell'appli­cazione pratica. Ad esempio, si ricorre alla testimonianza delle commedie di Goldoni laddove si affronta l'argomento dello "zendà", il malizioso abito nero, entrato in uso già alla fine del Seicento, che possedeva il particolare potere di abbellire anche le meno avvenenti.

Non si trascurano al tal fine le testimonianze figurative, che forniscono un continuo termine di pa­ragone per le notizie riportate dalle fonti scritte. Dal nostro punto di vista avremmo forse desiderato una maggiore cura sia nella selezione che nella riproduzione del repertorio illustrativo, che comunque pre­senta molte immagini tratte da repertori quali il Vecellio e il Grevembroch. A questo si aggiunge una esauriente bibliografia che contiene i principali strumenti per l'approfondimento della materia e un'ap­pendice con l'elenco dei colori più In uso. Questi apparati non impediscono al Vitali di inserire all'interno delle singole voci del suo Lessico ragionato una gran quantità di riferimenti, dando così, già ad una prima lettura, indicazioni sulle fonti utilizzate. Inoltre, inserite all'interno della voce dl diretta pertinenza (ad es., per i sartori sotto la voce Vesta da Zentilomo), si trovano annotazioni riguardo alle categorie artigiane o corpi d'arte collegati alla produzione dei capi d'abbigliamento. La storia e gli stralci degli statuti delle corporazioni dei "caleghèri", dei "sartori", dei "pelizèri" (per citare solo le più importanti) tornano d'attualità e contribuiscono a completare il panorama delle attività umane che ruotavano intorno alla moda.

Particolare cura è stata dedicata alle voci sui tessuti, molti dei quali venivano prodotti a Venezia in di­retta competizione con le preziose manifatture d'Oriente. Nel corso del secolo XIV Venezia detiene il primato nella produzione del velluto in tutte le sue varianti (alto-basso, sopratizzo, allucciolato, etc., mentre nel Cinquecento viene in uso il famoso restagno, un panno di filo d'argento dorato e filo di seta che, nonostante i suoi altissimi costi, trovò grande impiego nel vestiario e nell'arredamento dell'epoca.

Ogni tipo di testimonianza del passato serve dunque a ricostruire una storia del costume che si colora di sfumature antropologiche, letterarie, economiche e politiche circoscritte, per amor di verità, ad un ambito regionale. È tendenza sempre più diffusa, infatti, quella di restringere il campo delle ricerche sul costume a definite aree storico-geografiche, in modo da evitare generalizzazioni astratte di cui la materia è fin troppo satura. II dibattito attuale in effetti si orienta, oltre che sulla specificità delle indagini con documenti alla mano, sulla legittimazione definitiva ed Inequivocabile del termine "moda" (entrato in uso in Italia verso la metà del Seicento), al quale troppo spesso si associa l'immagine di transitorietà e vacuità, quando invece proprio l'origine della parola dal latino modus (maniera, foggia) pone l'accento sul concetto di evoluzione in essa implicito. Se finalmente con la parola "moda" si indicasse tutto quell'insieme di fattori storico-culturali dai quali si sviluppa un certo orientamento del vestire, avremmo non solo dato nuova importanza al termine, ma restituito all'intera materia - e Indirettamente anche a coloro che se ne occupano - una dignità ontologica finora negatale.

Venezia, città tradizionalista e chiusa per eccellenza, consuma le sue fogge in tempi dignitosamente lunghi, se si considera che in passato i costi elevati dei materiali e della lavorazione non hanno mai con­sentito troppo repentini e bruschi cambiamenti di tendenza. Il costume veneziano, quasi a voler scon­fessare il vecchio detto "l'abito non fa il monaco", si distingue per qualità funzionali all'efficacia di speci­fici messaggi sociali di cui esso diventa medium imprescindibile. Senza dimenticare che all'interno della tradizione vengono lasciati ampi varchi alle componenti individualizzanti del fenomeno, dalle quali traspaiono aspetti che sarebbe anacronistico definire psicologici, ma che comunque rientrano nel campo della semiotica e della comunicazione. Tra questi motivi "di circostanza", basti ricordare l'uso nel Quattrocento della barba in segno di lutto e di indigenza, oppure il particolare abito di quelle donne che Cesare Vecellio definisce "spose non sposate", donzelle da marito già promesse ma non ancora vincolate dal giuramento di matrimonio. Ignorare, o comunque sottovalutare, quella fitta rete di informazioni contenute nel vocabolario della moda sarebbe, come afferma un'autorevole storica del costume, Stella Mary Newton, nel suo recente libro The Dress of the Venetians, 1495-1525, pericoloso e in alcuni ca­si addirittura blasfemo; equivarrebbe a improvvisarsi traduttori di una lingua straniera conoscendo il si­gnificato delle parole, ma non la sua sintassi.

Tutto giocato sulla regola, imposta dai severi provvedimenti del Magistrato alle Pompe, e sulla sua trasgressione, possibile solo a coloro che disponevano di mezzi economici tali da consentirla, il costume veneziano denota una spiccata propensione al conformismo cittadino: basti pensare alla "toga", che per secoli rimase la vera e propria divisa ufficiale degli uomini appartenenti alla nobiltà, o a "baùta" e "tabàro" settecenteschi, studiati volutamente per uniformare (e quindi confondere) il sesso e il ceto di appartenenza di chi li indossava, in opposizione alle elitarie tendenze provenienti dalla Francia.

D'altro canto in passato la moda veneziana con le sue peculiarità si è imposta all'attenzione degli sto­rici e viaggiatori per alcune sue tendenze autoctone e anticonformiste. A partire dalla fine del Cinque­cento fa il giro di tutto il mondo, creando poi anche perniciose sovrastrutture, la notizia della scanzonata sensualità con cui le donne di ogni ceto a Venezia mostravano le mammelle, prerogativa in seguito ere­ditata dalle esperte del mestiere. Allo stesso modo fiorisce intorno all'uso dei caratteristici "calcagnini" o "calcagnéti" tutta una letteratura specifica, alla quale si aggiungono tentativi di giustificazione pratica dell'uso di queste scomode calzature che elevavano le donne dl parecchi centimetri da terra.   

Anche se i1 Lessico ragionato - con nostro rammarico - non dedica uno spazio adeguato al costume del Cinquecento, coloro che studiano questo periodo potranno trovare indicazioni utili sia sotto le spe­cifiche voci che all'interno delle più ampie classi dell'abblgllamento. Da un lato si potranno consultare le singole trattazioni riguardanti il balzo, la baréta a tozzo, le brache, la carpéta (per intenderci, la sopravveste delle Dame di Vittore Carpaccio al Correr di Venezia), il casso (specie di corpetto femminile),  le maniche a comeo (cioè "al gomito 'D, le contarie (le ben note perle artificiali muranesi), il donzelòn (l'abito delle giovani da marito), il fungo (pettinatura vietatissima perché faceva somigliare le donne agli uomini), la più nota giornea, i maninl (o catenelle di Venezia), il passatempo (sopravveste da camera), la pellanda e il successivo robone, la romana, la schlavonesca, la solana, il tabàro (mantello corto), la traversa (Il grembiule), il vardacuor (da non confondersi con il giustacuore), etc.. Dall'altro bisognerà ricorrere alle voci generali di "calzature" o «vesta da Zentilomo" se si vorranno chiarimenti rispet­tivamente sulla foggia dei "calcagníni" o quella dell'abito del patriziato.

L'aspetto del costume veneziano più noto e celebrato nel libro resta comunque quello prettamente settecentesco che coincide con un momento particolarmente felice per la città, centro di scambi cul­turali oltre che commerciali. Ed è proprio sullo sfondo di uno scenario da commedia goldoniana che il  Vltali - senza nascondere una decisa predilezione per questo, secolo - ripercorre le tappe deIl'abbigliamento veneziano del Settecento, tutto proiettato verso gli stilemi dell'imperante moda francese, ma non per questo privo della sua peculiare originalità. Il Settecento, quale ultimo periodo del costume veneziano in senso stretto, vede coesistere tradizione e innovazione, chiusura cittadina ed esterofilia, classismo e massificazione, accentuando così quegli elementi già presenti negli abiti dei veneziani di ogni tempo.

In questa chiave si ripropone il nesso inscindibile tra storia del costume e società: due termini che vanno considerati nella loro costante interrelazione se non si vogliono perdere di vista le finalità analiti­che di uno studio che, già nel lontano 1831, Fabio Mutinelll nella prefazione al suo saggio Del costume veneziano affermava "più appartenere alla fiamminga che a qual si voglia altra scuola".

 

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